Rombi invocanti il cielo racchiusi in gridi trattenuti di colore.
Movimenti veloci di binari rossi guerriglieri, verdi spumosi e gialli consolatori che trovano il nido nel blu abbracciato al viola materno.
Sono coni vetrati che sembrano aver bisogno di più spazio, come se si allungassero nel pannello in cerca di ossigeno.
L’imposizione verticale della figura protagonista si sposa con il bisogno di uscita.
L’intestino della figura è ricco di vibrazione ; alternanza di fluidi e spigoli geometrici lasciano appese le sensazioni.
La luce bianca in alcuni tratti si riscontra disorientata tra fuochi rossi e lave arancioni, tra verdi onde e il cupo nero. E infine il viola, richiamo alla meditazione, fa da raccoglitore dei colori: li sistema dentro una coordinazione studiata, assegna il loro posto, li calma.
Lo slancio accompagnato alla meditazione: la comunicazione della carnale emozione a braccetto con l’idea dell’equilibrio composto.
Composizioni dolcemente lacerate da strappi di colori che interrogano l’osservatore circa il loro messaggio. Perché risulta un messaggio non diretto , ma saggiamente mediato, riprodotto nella veste di una sfida: è riconoscibile l’anima dietro quel movimento?
E’ come se le opere non volessero sconfessare tutto, portatrici di segreti; lasciano il contemplatore invidioso. Ed è tipico dell’uomo cercare sempre ciò che non appare, perché solo tale ricerca brucia le piante dei piedi permettendo cosi nuovi passi. Gli assaggi di colore concedono garbatamente l’attività di indagare. In definitiva l’indagine pare essere una sintesi tra le carezze della razionalità e le sberle di un sentire trattenuto.
Di nuovo tagli di luce; non si tratta di singhiozzi trattenuti , ma di sottili emozioni ammorbidite dai giochi di colore. Non c’è l’appiglio al figurativo, tipico trasportatore di emozioni immediate, non ci sono sguardi, labbra o campi in aiuto, ma solo l’astratto che si diverte a far solletico al pensiero.
L’autore furbamente lascia senza guida, si scopre senza codici già decifrati, usando il solo colore come intermediario.
Sono onde bagnate di parole che visitano gli scalini polverosi dell’anima, tentano avidamente di uscire dalle linee multidirezionali che sono al tempo stesso prigione e casa accogliente.
La tecnica utilizzata non fa che confermare l’intermediazione tra idea-emozione e la sua veste. Le critiche possono rivendicare il mancato profumo dei colori ad olio, ma non saranno cosi scortesi da negare le parole di Michelangelo: “Non si dipinge con le mani, ma con il cervello.”
Privo di senso sarebbe non dare il benvenuto a nuovi mezzi di comunicare arte. Il messaggio rimane lo stesso: grida, rabbia, purezza, armonia,conflitto, perdita, riscoperta.. in definitiva: dissociazione dalla realtà, ma è la sua trasmissione che si avvale di rappresentanti diversi.
Qui c’è il tentativo di sfruttare la tecnologia al di fuori della mera funzione utilitaristica e pragmatica. Essa diventa serva dell’arte e trasmutatrice di banchetti dell’anima.
L’emozione ha proprio il carattere dell’eternità; soffermarsi allo schermo digitale vorrebbe tradirla stupidamente e schiaffeggiarla brutalmente.
M.B.